Note necessarie sul patrimonio non necessario all’esercizio dell’attività

03.10.2025
Author wevalue AG

Alcune cose sono semplici, ma non facili. Ciò vale anche per la considerazione del patrimonio non necessario all’esercizio dell’attività nella valutazione dell’azienda. Il principio è semplice: secondo la «Comunicazione tecnica sulla valutazione delle imprese», «la valutazione dei beni non necessari all’esercizio dell’attività avviene al ricavo netto di vendita, ovvero al prezzo di vendita stimato al netto dei costi di vendita e delle imposte applicabili» (FM UBW, Rn. 49).

Esempio classico o zona grigia?

Già la delimitazione dei beni non necessari all’esercizio dell’attività non è sempre facile nella pratica. Mentre oggetti d’arte, yacht e liquori pregiati sono facili da classificare, la situazione diventa più complessa nel caso di immobili in locazione, titoli e liquidità.

Il paradosso: patrimonio necessario ma non aziendale

In questo contesto, si presta poca attenzione al fatto che esistono anche beni necessari non aziendali. L’acquisto o la vendita di un’impresa individuale è quindi, per sua natura, sempre un asset deal. Non tutti i beni e i debiti possono essere trasferiti senza ulteriori indugi. La vendita di crediti e debiti, depositi bancari e passività, contratti di leasing e locazione in corso ecc. è di norma possibile dal punto di vista giuridico solo previo consenso delle controparti interessate. Ciò rende la transazione complessa, lunga e, soprattutto, pubblica. Pertanto, i beni e i debiti citati rimangono spesso al cedente e di fatto vengono ceduti solo le immobilizzazioni e le scorte.

La «batteria scarica» nella valutazione DCF

In una valutazione DCF occorre prestare attenzione al fatto che le attività e i debiti trattenuti per motivi legali siano una componente economicamente necessaria della pianificazione integrata e del valore aziendale: l’azienda viene valutata «caricata» con debitori, creditori e liquidità, ma in realtà la batteria è scarica. Correttamente, questo patrimonio necessario e non operativo riduce il valore dell’azienda, poiché tale lacuna (in caso di saldo positivo) deve essere colmata dal cessionario.

Il potenziale di distribuzione come trappola valutativa

Un’altra nota sulla valutazione del patrimonio necessario all’esercizio dell’attività delle società di capitali. La valutazione separata presuppone che tale patrimonio debba «affluire» ai proprietari, cosa che nelle società di capitali può avvenire solo sotto forma di dividendi. A tal fine, dopo una (ipotetica) vendita deve essere disponibile un capitale proprio distribuibile sufficiente.

Poiché dopo una vendita (ipotetica) è disponibile solo l’utile al netto delle imposte sul reddito, non sono rilevanti solo i valori di mercato, ma anche i valori contabili, al fine di poter determinare le imposte sul reddito applicabili all’utile di cessione, l’effettivo aumento del capitale proprio e quindi il potenziale di distribuzione.

Se e in che misura debbano essere prese in considerazione le imposte personali su queste distribuzioni fittizie è in ultima analisi una questione negoziale. La prassi di valutazione svizzera non tiene conto delle imposte personali. Se questo possa e debba essere preso in considerazione nella discussione sul prezzo è un’altra questione.

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